Il concetto d'inconscio collettivo

1936

Probabilmente nessuno dei miei concetti empirici ha incontrato tanta incomprensione quanto l'idea di inconscio collettivo. In queste pagine cercherò di dare: 1) una definizione del concetto, 2) una descrizione del suo significato per la psicologia, 3) una spiegazione del metodo di prova, 4) un esempio.

1. Definizione

L'inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall'inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all'esperienza personale e non è perciò un'acquisizione personale. Mentre l'inconscio personale è formato essenzialmente da contenuti che sono stati un tempo consci, ma sono poi scomparsi dalla coscienza perché dimenticati o rimossi, i contenuti dell'inconscio collettivo non sono mai stati nella coscienza e per ciò non sono mai stati acquisiti individualmente, ma devono la loro esistenza esclusivamente all'ereditarietà. L'inconscio personale consiste soprattutto in «complessi»; il contenuto dell'inconscio collettivo, invece, è formato essenzialmente da «archetipi».

Il concetto di archetipo, che è un indispensabile correlato dell'idea di inconscio collettivo, indica l'esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica le chiama «motivi»; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di représentations collectives di Lévy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss «categorie dell'immaginazione». Adolf Bastian, molto tempo fa, le ha denominate «pensieri elementari» o «pensieri primordiali». Da questi riferimenti dovrebbe risultare abbastanza chiaro che la mia idea di archetipo - letteralmente una «forma preesistente» - non è isolata, ma è riscontrabile anche in altri campi della conoscenza.

La mia tesi, dunque, è la seguente: oltre alla nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto personale e che riteniamo essere l'unica psiche empirica (anche se vi aggiungiamo come appendice l'inconscio personale), esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui. Quest'inconscio collettivo non si sviluppa individualmente, ma è ereditato. Esso consiste di forme preesistenti, gli archetipi, che possono diventare coscienti solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti psichici.

2. Il significato psicologico dell' inconscio collettivo

La psicologia medica, sviluppandosi, come ha fatto, dalla pratica professionale, insiste sulla natura «personale» della psiche. Mi riferisco qui alle concezioni di Freud e di Adler. La loro è una «psicologia della persona», in cui i fattori etiologici o causali sono ritenuti di natura quasi interamente personale. Anche questa psicologia si basa nondimeno su certi fattori biologici generali - per esempio, sull'istinto sessuale o sulla spinta all'autoaffermazione - che non sono in nessun modo caratteristiche meramente personali. A ciò essa è indotta dalla pretesa di essere una scienza esplicativa. Né la concezione freudiana né quella adleriana negano l'esistenza di istinti a priori comuni sia all'uomo sia agli animali, né la loro considerevole influenza sulla psicologia personale. Gli istinti sono tuttavia fattori impersonali, diffusi universalmente, ereditari, di natura dinamica o motivante, che molto spesso non riescono a raggiungere per nulla la coscienza, così che la psicoterapia moderna si trova dinanzi al compito di aiutare il paziente a divenirne cosciente. Gli istinti, inoltre, per natura non sono vaghi e indefiniti, ma sono forze motrici specificamente formate, che, molto prima che esista un qualsiasi grado di coscienza, e a prescindere dal grado di coscienza raggiunto in seguito, perseguono i loro scopi intrinseci. Essi assumono di conseguenza analogie così strette con gli archetipi, che vi sono in verità buone ragioni per supporre che gli archetipi siano le immagini inconsce degli istinti stessi; in altre parole, che essi siano «modelli di comportamento istintuale».

L'ipotesi dell'esistenza dell'inconscio collettivo non è perciò più audace dell'assunto secondo cui esistono gli istinti. Non è difficile ammettere che l'attività umana è notevolmente influenzata dagli istinti, del tutto indipendentemente dalle motivazioni razionali della mente cosciente. Pertanto, se si asserisce che la nostra immaginazione, la percezione e il pensiero sono parimenti influenzati da elementi formali innati e presenti universalmente, mi sembra che un'intelligenza normale non debba vedere in quest'idea né più né meno misticismo che nella teoria degli istinti. Benché l'accusa di misticismo sia stata rivolta frequentemente alla mia concezione, devo di nuovo sottolineare che il concetto d'inconscio collettivo non è né speculativo né filosofico, ma empirico. Il problema è semplicemente questo: esistono o non esistono forme universali inconsce di questo genere? Se sì, c'è una regione della psiche che si può denominare inconscio collettivo.

È vero che la diagnosi dell'inconscio collettivo non sempre è un compito facile. Né è sufficiente sottolineare la natura spesso inequivocabilmente archetipica dei prodotti inconsci, dal momento che essi potrebbero essere derivati da acquisizioni avvenute tramite il linguaggio e l'educazione. Si dovrebbe altresì escludere la criptomnesia, il che in alcuni casi è quasi impossibile. Nonostante tutte queste difficoltà, a liberare il campo da ogni possibile dubbio, sussistono sufficienti casi individuali i quali dimostrano il rivivere autoctono di motivi mitologici. Ma se un tale inconscio esiste, la spiegazione psicologica deve tenerne conto e sottoporre a una critica più acuta alcune etiologie che si considerano personali.

E possibile forse chiarire meglio il mio pensiero mediante un esempio concreto. Avete probabilmente letto l'analisi che Freud offre di un quadro di Leonardo da Vinci, Sant'Anna, la Vergine e il Bambino.1 Freud interpreta questo quadro straordinario sulla base del fatto che Leonardo avrebbe avuto due madri. Questa causalità è personale. Non mi dilungherò sul fatto che una raffigurazione del genere non è certo unica, né su un'imprecisione secondaria (sant'Anna è la «nonna» di Cristo, non, come si deduce dall'interpretazione di Freud, la madre), ma sottolineerò solo che compare qui, intrecciandosi con la psicologia chiaramente personale, un motivo impersonale, a noi ben noto da altri campi. Si tratta del motivo della «doppia madre», un archetipo di cui si trovano molte varianti nel campo della mitologia e della religione comparata; esso si trova inoltre alla base di numerose représentations collectives.

Potrei ricordare, per esempio, il motivo della «doppia discendenza», cioè la discendenza da genitori umani e divini, come nel caso di Eracle, che ricevette l'immortalità perché adottato a sua insaputa da Era. Ciò che era un mito in Grecia, era un rituale in Egitto: il faraone era per natura sia umano sia divino. Sulle pareti dei sacrari della nascita dei templi egizi sono dipinti il secondo concepimento, quello divino, e la nascita del faraone: egli è «nato due volte». E, questa, un'idea che sta alla base di tutti i misteri di rinascita, anche nel cristianesimo. Cristo stesso è «nato due volte»: con il suo battesimo nel Giordano egli fu rigenerato e rinacque dall'acqua e dallo spirito. Perciò nella liturgia romana il fonte battesimale è denominato uterus ecclesiae, esso, come si può leggere nel messale romano, viene chiamato così ancor oggi nella benedizione del fonte, il sabato santo prima di Pasqua. Inoltre, secondo un'antica concezione cristianognostica, lo Spirito che apparve sotto forma di colomba veniva interpretato come Sophia-Sapienza-Saggezza e come madre di Cristo. Sulla base di questo motivo della doppia nascita, oggi i bambini, in luogo di fate buone e cattive che li «adottano» magicamente alla nascita con benedizioni o sortilegi, ricevono come protettori un «padrino» e una «madrina». (Gotti e Gotte in svizzero-tedesco, godfather, e godmother in inglese.)

L'idea di una seconda nascita si trova in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Ai primordi della medicina era un mezzo magico di guarigione; in molte religioni è l'esperienza mistica centrale; è l'idea chiave della filosofia occulta medievale e, last but not least, è una fantasia infantile presente in innumerevoli bambini d'ogni età, i quali credono che i loro genitori non siano quelli veri, ma soltanto genitori adottivi, ai quali sono stati affidati. Anche Benvenuto Cellini ebbe quest'idea, come narra nella sua autobiografia.

E assolutamente impossibile che tutti gli individui che credono in una doppia discendenza abbiano sempre avuto realmente due madri o, viceversa, che quei pochi che condividono il destino di Leonardo abbiano contagiato il resto dell'umanità con il loro complesso. Non si può piuttosto fare a meno di supporre che la presenza universale del motivo della doppia nascita, unito con la fantasia delle due madri, risponda a un bisogno umano onnipresente che si riflette in questi motivi. Anche se realmente Leonardo ritrasse in sant'Anna e Maria le sue due madri - cosa di cui dubito -, egli cercò soltanto di esprimere qualcosa in cui hanno creduto innumerevoli milioni di persone prima e dopo di lui. Il simbolo dell'avvoltoio (di cui Freud tratta nel lavoro citato) rende questo punto di vista ancor più plausibile. Con qualche giustificazione Freud cita come fonte del simbolo i Hieroglyphica di Orapollo, un libro molto diffuso al tempo di Leonardo, nel quale si legge che gli avvoltoi sono solo femmine e simboleggiano la madre. Essi concepiscono attraverso il vento (pneuma), parola che assunse il significato di spirito soprattutto sotto l'influsso del cristianesimo.

Nella descrizione del miracolo della Pentecoste lo pneuma ha ancora il doppio significato di vento e spirito. A mio parere, a ciò è indubbiamente ricollegabile il fatto che Maria, vergine per natura, concepì attraverso lo pneuma, come un avvoltoio. Sempre secondo Orapollo, l'avvoltoio simboleggia anche Atena, che fuoriuscì, non generata, direttamente dalla testa di Zeus, era vergine e conobbe una maternità solo spirituale. Tutto ciò è una chiara allusione a Maria e al motivo della rinascita. Non v'è nessuna prova che Leonardo abbia pensato a qualcosa di diverso nel dipingere il quadro; ma, benché sia corretto supporre che si sia identificato con Gesù bambino, egli rappresentò con tutta probabilità il motivo mitologico della doppia madre, non la sua preistoria personale. E che dire di tutti gli altri artisti che hanno dipinto lo stesso tema? Certo non tutti hanno avuto due madri.

Trasponiamo ora il caso di Leonardo nel campo delle nevrosi e supponiamo che un paziente con un complesso materno soffra dell'idea delirante che la causa della sua nevrosi stia nell'aver avuto realmente due madri. L'interpretazione personale direbbe che ha ragione, e sarebbe completamente sbagliata. La causa della sua nevrosi risiederebbe, in realtà, nella riattivazione dell'archetipo della doppia madre, del tutto indipendentemente dal fatto che egli abbia avuto una o due madri, perché, come abbiamo visto, quest'archetipo funziona individualmente e storicamente senza alcun riferimento alla presenza relativamente rara della doppia maternità.

In un caso simile si è naturalmente tentati di supporre una causa così semplice e personale; l'ipotesi però non solo è inesatta, ma totalmente falsa. Certo non è facile comprendere come il motivo della doppia madre - ignoto a un medico che possegga una preparazione esclusivamente medica - possa avere un potere tanto grande da determinare l'effetto di una condizione traumatica. Ma se consideriamo i tremendi poteri che sono nascosti nella sfera mitologica e religiosa dell'uomo, l'importanza etiologica dell'archetipo appare meno arbitraria. In numerosi casi di nevrosi la causa del disturbo sta proprio nel fatto che alla vita psichica del paziente manca la cooperazione di queste forze motrici. Ciò nonostante, una psicologia puramente personalistica, riducendo ogni cosa a cause personali, fa di tutto per negare l'esistenza di motivi archetipici e cerca, con l'analisi personale, addirittura di distruggerli. Considero questo un procedimento piuttosto pericoloso, che non può essere giustificato sul piano medico. Oggi è possibile giudicare meglio di vent'anni fa la natura delle forze coinvolte. Non vediamo forse come un'intera nazione stia rivivendo un simbolo arcaico, sì, perfino certe forme religiose arcaiche, e come quest'emozione di massa stia influenzando e rivoluzionando in maniera catastrofica la vita dell'individuo? L'uomo del passato è vivo oggi in noi in una misura impensabile prima della guerra. E il destino delle grandi nazioni che altro è, in ultima analisi, se non una somma dei mutamenti psichici degli individui?

Se una nevrosi è davvero solo un affare privato, che ha le sue radici esclusivamente in cause personali, gli archetipi non rivestono nessun ruolo. Se invece è una questione d'incompatibilità generale o una condizione, in altro modo dannosa, che produce nevrosi in un numero relativamente grande d'individui, allora dobbiamo supporre la presenza di archetipi costellati. Poiché nella maggior parte dei casi le nevrosi sono non fatti privati, ma fenomeni «sociali», dobbiamo ammettere che anche in questi casi vengono costellati degli archetipi: viene attivato l'archetipo corrispondente alla situazione e di conseguenza entrano in azione le forze esplosive e pericolose nascoste nell'archetipo, spesso con esiti imprevedibili. Non v'è follia a cui la persona sotto il dominio di un archetipo non possa soggiacere. Se trentanni fa qualcuno avesse osato predire che il nostro sviluppo psicologico tendeva a una reviviscenza delle persecuzioni medievali degli ebrei, che l'Europa avrebbe di nuovo tremato davanti ai fasci romani e al passo cadenzato delle legioni, che le persone ancora una volta avrebbero fatto il saluto romano come duemila anni fa, e che un'arcaica svastica, invece della croce cristiana, avrebbe attratto milioni di guerrieri pronti a morire, sarebbe stato accolto come un mistico folle. E oggi? Anche se può sorprendere, queste cose assurde sono diventate un'orribile realtà. La vita privata, le etiologie private, le nevrosi private sono diventate nel mondo d'oggi quasi una finzione. L'uomo del passato, che viveva in un mondo di représentations collectives arcaiche, è tornato a vivere in modo tangibile e dolorosamente reale non solo in pochi individui squilibrati, ma in molti milioni di persone.

Nella vita vi sono tanti archetipi quante situazioni tipiche. La continua ripetizione ha impresso queste esperienze nella nostra costituzione psichica, non nella forma d'immagini dotate di contenuto, ma in principio solo come «forme senza contenuto», atte a rappresentare solo la possibilità d'un certo tipo di percezione e azione. Quando si presenta una situazione che corrisponde a un dato archetipo, allora l'archetipo viene attivato, e si sviluppa una coattività che, come una forza istintiva, si fa strada contro ogni ragione e volontà oppure produce un conflitto di dimensioni patologiche, cioè una nevrosi.

3. Metodo di prova

Dobbiamo ora porci il problema di trovare il modo di provare l'esistenza degli archetipi. Poiché si suppone che gli archetipi producano certe forme psichiche, dobbiamo considerare come e dove si possa reperire il materiale che mostri queste forme. La fonte principale sono i sogni, che hanno il vantaggio di essere prodotti involontari, spontanei, della psiche inconscia, e pertanto puri prodotti di natura, non falsificati da un'intenzione cosciente. Interrogando l'individuo, è possibile accertare quali, tra i motivi che appaiono nel sogno, gli siano noti. Da quelli che gli sono sconosciuti dobbiamo naturalmente escludere tutti i motivi che «potrebbero» essergli noti, come ad esempio - per tornare al caso di Leonardo - il simbolo dell'avvoltoio. Non siamo sicuri se Leonardo abbia tratto o no questo simbolo da Orapollo, anche se ciò sarebbe stato senz'altro possibile per una persona colta di un'epoca in cui gli artisti si distinguevano per le loro vaste conoscenze umanistiche. Pertanto, sebbene il motivo dell'uccello sia un archetipo per eccellenza, la sua presenza nella fantasia di Leonardo non proverebbe ancora nulla. Dobbiamo allora cercare motivi che potrebbero non essere noti al sognatore e che tuttavia si comportino funzionalmente nel suo sogno in modo da coincidere con ciò che del funzionamento dell'archetipo si sa da fonti storiche.

Un'altra fonte del materiale di cui abbiamo bisogno si trova nell'«immaginazione attiva». Con ciò intendo una serie di fantasie prodotte da una deliberata concentrazione. Ho riscontrato che l'esistenza di fantasie inconsce irrealizzate accresce la frequenza e l'intensità dei sogni, e che quando queste fantasie vengono rese coscienti, i sogni mutano carattere e diventano più deboli e meno frequenti. Da ciò ho tratto la conclusione che i sogni contengono spesso fantasie che tendono a diventare coscienti. Le fonti dei sogni sono spesso istinti rimossi che hanno una naturale inclinazione a influenzare la mente cosciente. In tali casi il paziente ha semplicemente il compito di contemplare un qualsiasi frammento di fantasia che gli sembri significativo - un'idea casuale o qualcosa di cui è diventato cosciente in sogno - finché il «contesto», cioè l'importante materiale associativo in cui è inserito, diventi palese. Non si tratta qui della «libera associazione» che Freud raccomanda per l'analisi dei sogni, ma dell'elaborazione d'una fantasia attraverso l'osservazione del materiale fantastico che si accompagna in modo naturale al frammento.

Non è questo il luogo per addentrarci in una discussione tecnica sul metodo. Basti dire che la serie di fantasie che ne risulta libera l'inconscio e produce materiale ricco d'immagini archetipiche e di associazioni. Questo è, ovviamente, un metodo che si può usare solo in alcuni casi attentamente vagliati. È un metodo non del tutto esente da pericolo, perché può portare il paziente troppo lontano dalla realtà. È perciò opportuno sconsigliarne un'applicazione avventata.

Infine, fonti molto interessanti di materiale archetipico si possono trovare nei deliri dei paranoici, nelle fantasie osservabili in stati di trance e nei sogni della piccola infanzia, dal terzo al quinto anno di età. Tale materiale è disponibile in abbondanza, ma è privo di valore se non si possono addurre paralleli mitologici convincenti. Naturalmente non basta mettere semplicemente in connessione un sogno in cui appare un serpente con la presenza dei serpenti nella mitologia. Chi garantisce, infatti, che il significato funzionale del serpente nel sogno sia lo stesso che nel contesto mitologico? Per delineare un parallelo valido, è necessario conoscere il significato funzionale del simbolo individuale e scoprire, poi, se il simbolo mitologico apparentemente parallelo possegga un contesto analogo e abbia pertanto lo stesso significato funzionale. Non solo l'accertamento di questi fatti richiede indagini lunghe e laboriose, ma gli argomenti stessi sono di difficile dimostrazione. Poiché i simboli non devono essere isolati dai loro contesto, ci si deve diffondere in descrizioni esaurienti sia sul piano simbolico sia su quello personale, e ciò è praticamente impossibile nei limiti d'una conferenza. È ciò che io ho ripetutamente tentato, correndo il rischio di far addormentare metà del mio uditorio.

4. Un esempio

Ho scelto come esempio un caso che, anche se già pubblicato,2 uso di nuovo, perché per la sua brevità è particolarmente calzante. Posso inoltre aggiungere alcune osservazioni omesse nella precedente pubblicazione.

Verso il 1906 mi imbattei nel singolare delirio di uno schizofrenico paranoide internato da molti anni. Il paziente soffriva fin da giovane ed era incurabile. Aveva studiato in una scuola statale e aveva poi lavorato come impiegato in un ufficio. Non aveva nessun particolare talento e io stesso non sapevo niente di mitologia né di archeologia in quel periodo: la situazione perciò non era in alcun modo sospetta. Un giorno trovai il paziente accanto alla finestra, che scuoteva da un lato all'altro il capo e aguzzava le ciglia verso il sole. Mi disse di fare lo stesso: avrei visto qualcosa di molto interessante. Quando gli chiesi che cosa vedesse, si stupì che io non riuscissi a scorgere niente e disse: «Sicuramente vedete il fallo del sole... quando muovo la testa di qua e di là, anch'esso si muove, ed è di là che proviene il vento». Naturalmente io non afferrai affatto questa strana idea, ma ne presi nota. Circa quattro anni più tardi, nel corso dei miei studi mitologici, m'imbattei in un libro del defunto Albrecht Dieterich,3 il noto filologo, che fece luce su questa fantasia. Il lavoro, pubblicato nel 1910, riguarda un papiro greco della Biblioteca Nazionale di Parigi. Dieterich riteneva di avere scoperto in una parte del testo una liturgia mithriaca. Il testo è senza dubbio una prescrizione religiosa riguardante l'esecuzione di certi incantesimi nei quali si nomina Mithra. Esso proviene dalla scuola mistica di Alessandria e presenta affinità con alcuni brani del papiro di Leida e del Corpus hermeticum. Nel testo di Dieterich si leggono le indicazioni seguenti:

Inspira dai raggi, inspira tre volte quanto più puoi e ti sentirai sollevare e camminare verso l'alto, e ti sembrerà di essere nel mezzo della regione aerea... La strada degli dèi visibili apparirà attraverso il disco del sole, che è Dio mio padre. Così pure il cosiddetto tubo, l'origine del vento soccorrevole. Perché tu vedrai pendere dal disco solare qualcosa di simile a un tubo. E ciò verso le regioni dell'occidente, infinito come vento che spira da oriente; se poi ad essere diretto verso le regioni dell'oriente è l'altro vento, vedrai del pari verso le regioni di quello il rovesciamento della visione.

E ovviamente intenzione dell'autore consentire al lettore di sperimentare la visione che egli ha avuto o nella quale almeno crede. Il lettore dev'essere iniziato all'intima esperienza religiosa dell'autore, o - come sembra più verosimile - di una di quelle comunità mistiche che Filone di Alessandria descrive da contemporaneo. Il dio-fuoco o dio-sole qui invocato è una figura di cui esistono esempi storici affini, ad esempio la figura del Cristo dell'Apocalisse. Si tratta perciò di una représentation collective come lo sono le azioni rituali descritte, l'imitazione dei versi degli animali ecc. La visione è inserita in un contesto religioso di natura chiaramente estatica e descrive un tipo d'iniziazione a un'esperienza mistica della divinità.

Il nostro paziente aveva circa dieci anni più di me. Nella sua megalomania egli pensava di essere Dio e Cristo in una sola persona. Il suo atteggiamento nei miei confronti era condiscendente; aveva simpatia per me probabilmente perché ero l'unico a mostrare una certa comprensione per le sue idee astruse. I suoi deliri erano principalmente di carattere religioso; quando m'invitò a guardare fisso il sole come lui e a dimenare la testa, voleva evidentemente che io partecipassi alla sua visione. La sua parte era quella del saggio mistico; io ero il neofita. Credeva di essere il dio-sole, che crea il vento scuotendo la testa di qua e di là. La trasformazione rituale nella divinità è attestata da Apuleio nei misteri di Iside e per di più nella forma di un'apoteosi di Elio. Il significato del «vento soccorrevole» è probabilmente lo stesso dello pneu- ma fecondo, che soffia dal dio-sole nell'anima e la feconda. L'associazione del sole e del vento ricorre frequentemente nel simbolismo antico.

Bisogna ora dimostrare che non si tratta di una coincidenza puramente casuale di due casi isolati. Dobbiamo perciò provare che l'idea di un tubo di vento connesso con Dio o con il sole esiste indipendentemente da queste due testimonianze e si presenta altre volte e in altri luoghi. Esistono in effetti quadri medievali che raffigurano la fecondazione di Maria con una cannula o un oggetto tubolare che parte dal trono di Dio per arrivare al suo corpo; si vedono anche la colomba o il bambino Gesù che scendono in volo: la colomba rappresenta l'agente fecondante, il vento dello Spirito Santo.

Ora, è assolutamente impossibile che il paziente possa aver avuto una qualsiasi conoscenza di un papiro greco pubblicato quattro anni più tardi e, pur ammettendo che, per un caso improbabile, egli abbia visto la riproduzione di un quadro come quello descritto, è del tutto inverosimile che la sua visione si riferisca in qualche modo alle rare rappresentazioni medievali della Concezione. Il paziente era stato dichiarato malato mentale all'età di poco più di ventanni. Non aveva mai viaggiato. E a Zurigo, sua città natale, non c'era nella galleria pubblica d'arte nessun quadro del genere.

Ricordo questo caso non per provare la visione di un archetipo, ma solo per mostrare nella forma più semplice possibile il mio metodo. Se avessimo solo casi simili, l'indagine sarebbe relativamente facile, ma in realtà la prova è assai più complicata. Innanzitutto, affinché certi simboli siano riconoscibili come fenomeni tipici, non come fatti casuali, bisogna isolarli con sufficiente chiarezza. Ciò è possibile esaminando una serie di sogni, alcune centinaia, alla ricerca di figure tipiche di cui osservare lo sviluppo nella serie. Lo stesso metodo è applicabile ai prodotti dell'immaginazione attiva. In questo modo è possibile stabilire certe continuità o modulazioni di una stessa figura. Si può scegliere una qualsiasi figura che dia l'impressione di essere un archetipo per il suo comportamento nella serie di sogni o visioni. Se il materiale a disposizione è stato adeguatamente osservato ed è sufficientemente ampio, si possono scoprire fatti interessanti nelle variazioni subite da un singolo tipo. Non solo il tipo stesso, ma anche le sue varianti possono essere convalidati dalla mitologia comparata e dall'etnologia. Ho descritto altrove questo metodo di indagine, fornendo altresì il necessario materiale del caso.

Note

1 Vedi Freud, Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci, 1910.

2 Jung, Simboli della trasformazione, 1912/1952, pp. 107 ss. E 160.

3 Dieterich, pp. 6 ss.